giovedì 30 luglio 2015

Alanis Morissette: Il mio rapporto con il cibo e il grasso

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: iVillage.ca, by Alanis Morissette




Poche cose mi irritano quanto chi commenta in modo dispregiativo il peso di qualcun altro, quando non hanno affrontato in prima persona un disturbo alimentare.

Ridurre bruscamente e sbrigativamente l’arduo percorso di qualcuno a una battuta sulla necessità che mangi meno hamburger – o anche al contrario, che “dovrebbe mangiare un panino” – sottovaluta totalmente le complessità più profonde e sottili a portata di mano (o di cuore, o di bocca, in questo caso). Per lo meno, ignora l’epidemia di una società ossessionata da un’estetica della magrezza dove, una volta raggiunta, deride quello stesso obiettivo come malato e pericoloso. Cosa può fare una ragazza perfezionista e motivata?

Se mai ci fosse una lama a doppio taglio, sarebbe questa. Noi, colpiti della varietà di standard di Hollywood (leggi: purtroppo, il mondo) lavoriamo con le unghie, con i denti, e i tapis roulant per aderire a questo numero (nastro di misurazione, scala e altro) che aleggia direttamente sotto qualunque cosa consenta di cedere a un cupcake qua e là, e quando lo facciamo, sollecitiamo confusamente sguardi interessati di ammonimento o complimenti su "quanto stiamo bene". Mi ricordo quando ero all’apice della mia magrezza, sentendomi come se riuscissi a malapena a trascinare il mio corpo letargico in giro, solo per essere sommersa dal maggior numero di complimenti che abbia mai ricevuto.

Non credo sia una coincidenza che l’America venga derisa per i suoi livelli di obesità, ma sia anche un paese ossessionato con la magrezza. Questo approccio tutto-o-niente è endemico nella nostra società occidentale. Allo stesso modo, e forse più forte, quando qualcuno già dentro la lotta con il cibo, scala il tappeto rosso di Hollywood, i commenti si buttano su quanto sia indulgente e indisciplinato.

C’è una cosa che so nel profondo, ed è che non incontrerete mai una persona più testarda, disciplinata, motivata e colta sull’alimentazione di qualcuno che è alle prese con un disturbo alimentare! L’idea che le persone con dipendenze alimentari siano indisciplinate è un’altra madornale percezione sbagliata tra le tante. Raramente incontrerete qualcuno che ha una capacità di moderazione superiore rispetto a chi sta lottando con il dolore o la paura che colpisce in modo sintomatico il peso.

Per discutere in modo derisorio del grasso senza discutere dei nostri sentimenti e traumi e del nostro senso di disconnessione dalla nostra anima, noi stessi, e l’un l’altro, ci si concentra sull’effetto e non sulla causa. Questa svista perpetua l’auto-abuso che alimenta questo e molti altri disturbi e dipendenze.

Il rapporto con il cibo non può essere affrontato singolarmente attraverso la rigida struttura di un piano-di-dieta-e-cibo, o uno schiaffo sulla mano. Il nostro indirizzamento nei confronti del cibo oltre alle ragioni di sostentamento fa parte degli aspetti multistrato dell’essere umano. Alcuni di essi sono:

I nostri mondi emozionali: Ci sono spesso traumi e abusi/abbandoni che implorano di essere guariti. Il grasso può essere un modo per proteggere noi stessi e sopravvivere, un modo per controllare qualcosa in un mondo dove tutto sembra fuori controllo, e un modo per allontanare la paura profonda di sentire i nostri sentimenti. Spesso trovo che ansia, paura, noia, delusione, solitudine, eccitazione e il dolore siano i principali sentimenti che il cibo può tentare di sopprimere.

I nostri mondi sociali: Viviamo in una società che scoraggia in particolare il sentire questi sentimenti. Quindi, non ci resta che trovare dei modi per contenere i nostri sentimenti nella migliore delle ipotesi, cancellarli nel peggiore dei casi. Diventiamo creativi su come schiacciare questi sentimenti, e il cibo è un modo come un altro per farlo. Ci sono persone che dicono che il condizionamento e lo standard sociale sia più difficile per le donne, ma così tanti uomini vivono sfide alimentari che sono riluttante a dire che si tratta solo condizione femminile. E poi ci sono i nostri confronti critici a standard che implicano che se siamo lontani dal modello figura-a-scopa-con-addominali dei nostri tempi, siamograssi maiali.

E poi c’è la componente fisiologica: Picchi glicemici, depressione, ormoni, fame e personale-ritmo-dell’appetito sfiduciano (è interessante, perché insegnato a noi da un’età molto precoce involontariamente da genitori dalle buone intenzioni con la mentalità finisci-quello-che-hai-nel-piatto). Ci sono considerazioni tiroidee, predisposizioni genetiche, malattie, infortuni e la dipendenza fisica agli additivi nella dieta americana standard. Il cibo può anche servire come un conforto che non ci viene offerto attraverso il tatto.

Così spesso, piuttosto che vedere l'aumento di peso di qualcuno come sintomo di qualcosa, sono etichettati automaticamente come "grasso" o "disgustoso". Non solo questo è dolorosamente riduzionista, manca tutto quello che potrebbe essere l'antidoto e il balsamo di guarigione a questa epidemia, e isola maggiormente coloro che sono coinvolti in un mondo molto solitario di incomprensione e ostracismo.

Il "fatism" [N.d.T.1] è un 'ismo' come qualsiasi altro, ma la nostra cultura chiude un occhio verso quella particolare versione di separatismo. Forse è la paura delle nostre stesse fragilità e umanità che ci fa desiderare di abbassare lo sguardo dal grasso che vediamo. Se ce ne si allontana, non dobbiamo guardare a queste complessità dentro di noi. Forse è più facile etichettare una persona grassa con qualità che non ci piacciono di noi stessi piuttosto che cercare di saperne di più su ciò che sono le loro vulnerabilità e cosa li rende così.

Credo che un antidoto a questo e a molti altri dolori del mondo potrebbe essere trovato in due cose: la coltivazione del nostro impulso naturale di essere curiosi, a guardare più in profondità, direttamente nelle sottigliezze di quello che potrebbe star succedendo (in questo caso, con il nostro rapporto con il cibo, il grasso e l'esercizio fisico) e favorire la mossa coraggiosa e audace di trasformare i pregiudizi verso ciò che ci fa orrore, come un modo per ridurre la sua presa su di noi.

Penso che l'effetto di applicare queste due qualità rivelerebbe ciò che io credo veramente che siamo profondamente come popolo americano: gente compassionevole, coraggiosa e generosa.

Ecco, il mio difficile rapporto con il cibo e il grasso è sempre stato un invito discreto a una più profonda gentilezza nei confronti di me stessa (che ho così spesso ignorato). Essere gentile verso la mia fragilità di fronte ad un messaggio monolitico di perfezionismo e di intolleranza non è stato un percorso facile - né, mi vergogno a dire, coerente. Scriverne aiuta.

Il grasso, a differenza di altri disturbi e dipendenze più segreti, si esprime ed è esposto all'esterno perché tutti vedano. Essendo così, faremmo bene a vedere il "peso indesiderato" come quello-che-ancora-va-indagato, piuttosto che come un francobollo delle nostre inadeguatezze confermate.


Così per l'amore di far parte di questa conversazione più ampia intorno al fatism-della-cultura-pop, la prossima volta che vediamo qualcuno affrontare una dieta yo-yo e che ha una relazione tormentata con il cibo e il proprio corpo, piuttosto che prenderlo in giro, supplico tutti noi di mettere in pausa e di offrire un po' di curiosità per ciò che si nasconde sotto e, se fosse il caso, forse anche muoversi verso di esso.

Forse questa gentilezza può lentamente fare in modo che noi del gruppo più-pesanti-di-Twiggy ci sentiamo meno soli, meno relegati, meno abbandonati. E forse allora possiamo, delicatamente, iniziare ad accettare (e addirittura amare) queste parti più profonde e più fragili di noi stessi che vengono represse ed espresse attraverso il nostro corpo e il cibo. E così facendo, ci libererà di nuovo alla totalità, espressione unica essenziale, e al peso per cui siamo nati.



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Segui Alanis Morissette su Twitter @morissette.


Note del Traduttore
N.d.T.1: "Fatism" (o "fattism") è un termine gergale per esprimere discriminazione nei confronti delle persone in sovrappeso.

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